Mi chiamo come mio nonno, che era un uomo d’altri tempi. Il viso era segnato dal sole e solcato dalle onde, le mani dure come l’animo, bello. Sono necessari molti anni per capire la bellezza dei propri nonni, mentre ci si sforza di ricordarli nelle loro espressioni migliori. Di lui ho una fotografia, guarda che espressione, guarda che lupo di mare. Mi ha portato lui, la prima volta. Avevo sei o sette anni. Aveva fatto la guerra e mi ha insegnato la pesca, mi ha mostrato le onde, a capire il tempo che cambia, la direzione del vento, i nodi. I nodi sono il punto più debole della rete, ma il più importante. Il mio preferito è la catena, semplice e robusto, ma se lo tiri da un lato si scioglie, senza fare resistenza. Anche le reti sono importanti, in inverno aggiustiamo quelle che ci servono per la stagione. Nelle reti finiscono anche i delfini, ce ne sono in Adriatico. Rompono tutto, e perdiamo il pesce, e facciamo le notti ad aggiustare tutto. Non c’è mai tregua. Negli ultimi anni, qua al porto siamo rimasti in pochi, nessuno vuole più fare questa vita, troppi sacrifici. Se tornassi indietro farei scelte diverse. Quando ero ragazzo uscivo di casa che i miei amici tornavano dalla discoteca, si stava in mare tutti i giorni, si tornava a terra solo per scaricare il pesce e poi si ripartiva. Serve passione per fare certe cose, ma non lo rifarei più. Sono stato a pescare in Marocco, una volta. Là non riconoscevo più il mare, era nero, profondo e limpido, molto diverso da quello di casa. Sei mesi di lavoro su un mare che non conosci. Ti rendi conto di cosa vuol dire stare fuori sei mesi, su una barca di ottanta metri? Sei mesi a vedere sempre le stesse trenta facce, a svegliarsi all’alba e dormire nelle brande, che ci fosse bello o che ci fosse tempesta. Come essere in carcere. Vedevamo le albe e i tramonti, certo, ma ne ho viste tante di albe che non ci faccio neanche più caso. C’è un tempo per tutto, e io ora ho deciso di non uscire più. Ma tu pensa cosa vuol dire stare in mare una vita, e con le barche di allora poi. Pensa cosa vuol dire perdersi nella nebbia e sperare di trovare una costa che conosci. Pensa cosa vuol dire affondare una barca, una volta mi è successo, sono qui per fortuna, perché qualcuno passava per di là e mi ha tirato su. Pensa cosa può fare il mare alla vita di un uomo. Pensa ai tuoi amici che tornano dalla discoteca e tu stai andando in mare, a quando raccontano le loro storie, e tu non hai nulla da dire. Pensa a veder crescere tuo figlio poche ore a settimana, perché c’è il mare che chiama, perché in mare devi andarci, e in mare devi starci, il mare ti aspetta. Mio figlio non farà il pescatore, non ho voluto portarlo in barca, non volevo facesse la vita che ho fatto io, non l’avrei sopportato. Mio figlio sarà libero di scegliere la sua strada, sarà l’unico responsabile di quello che sceglierà, ma non verrà in mare, perché non si può fare una vita così. Però guarda mio nonno com’era bello. Tra tredici anni sarò come lui, come in questa foto. Come passa il tempo. Venticinque anni, e ancora piango quando guardo la sua fotografia, la porto sempre con me, lo porto sempre con me. Fino all’ultimo è andato in mare, fino a che ha potuto, perché era la sua vita. Se n’è andato quando non ha più potuto andare, quando si è rotto il femore, ma è sempre andato e sarebbe andato per sempre.
MI CHIAMO COME MIO NONNO
Pescatore, come le generazioni che lo hanno preceduto. Ha la voce di chi racconta volentieri, le mani ruvide e le spalle grosse. luigi è l'archetipo del pescatore.